Una nota diffusa dall’INL precisa le nuove normative in termine di contrattazione a tempo determinato
Il contratto a tempo determinato ha subito nel corso del tempo una serie di modifiche in termini di leggi e normative inerenti a durata, diritti, retribuzione e tutele per il lavoratore e per il datore di lavoro.
Fino a luglio 2018 era infatti possibile stipulare contratti a termine in maniera “libera”, fino ad un massimo di 36 mesi.
Dal 14 luglio 2018 invece, la libertà di assunzione si è ridotta a 12 mesi, con la possibilità di proroga tramite causali di legge (esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, di sostituzione di altri lavoratori, connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’ordinaria attività) fino ad un massimo di 24 mesi. Al termine dei due anni è prevista la possibilità di un ulteriore contratto “assistito” della durata massima di 12 mesi presso l’ispettorato del lavoro.
A tal proposito va sottolineato come in caso di assenza di causale, l’ispettorato del lavoro abbia la possibilità di rifiutare la stipula di un ulteriore contratto a termine. Questo provvedimento è una diretta conseguenza del Decreto Dignità, in particolare della legge 96/2018.
Allo stesso modo non si ritiene possibile neppure la stipula assistita di un ulteriore contratto a termine oltre la scadenza fissata dalla legge precedentemente citata.
La riforma (la “stretta”) del lavoro ha tuttavia lasciato facoltà alla contrattazione collettiva di derogare alla durata massima del contratto a termine, ma non all’introduzione di nuove causali. I contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dai sindacati più rappresentativi possono dunque fissare durate diverse, anche superiori ai 24 mesi, ammesso che vengano rispettate le causali inderogabili per legge.