Procedure riviste, smartworking e rivoluzione nei comportamenti: l’attività delle fabbriche prosegue contro il Covid
In un’Italia quasi totalmente paralizzata sono poche le attività che proseguono incessantemente il lavoro in uno dei periodi più bui dal secondo dopo-guerra ad oggi. Il Coronavirus ha letteralmente messo in ginocchio quasi tutti i settori del nostro Paese sotto il punto di vista produttivo, e si appresta a fare lo stesso con praticamente tutta l’Europa stringendo il “vecchio continente” in un abbraccio letale.
La resistenza delle fabbriche in tal senso è una manna dal cielo, un appiglio a cui guardare con ottimismo anche per il futuro, a patto che, però, si continui a produrre con il massimo della sicurezza e non mettendo in discussione l’incolumità dei lavoratori.
In questo senso una sorta di “vademecum” arriva proprio dalla Cina passando, però, per Reggio Emilia, a ridosso dei focolai del nostro Paese per intenderci.
Nelle pagine de Il Sole 24 Ore di sabato scorso, infatti, viene fatta mostra del virtuoso esempio di Comer Industries, gruppo meccanico emiliano con una sede, appunto, anche in Cina.
Un’auto per ogni singola persona; andare a lavoro già pronti limitando al massimo l’accesso agli spogliatoi; smart working ove possibile; distribuzione del personale operativo in due turni con un cluster di monitoraggio non oltre le cinque persone a distanza di sicurezza: sono queste alcune delle modifiche attuate dall’azienda in termini operativi che fanno il palio con una serie di provvedimenti extra legati, ad esempio, alle pause. Queste vengono infatti sequenziate, con la possibilità di evitare assembramenti e vietando l’accalcarsi di più di una persona alle macchinette del caffè. Per la mensa, necessaria in quanto si parla di un’azienda con oltre mille lavoratori, si è passati dal pasto tradizionale al “packed lunch”, evitando così code e folle ai tavoli. Guanti e mascherine come dotazione per tutto il personale chiudono il cerchio delle misure anti-Covid di un’azienda che, ad oggi, ha saputo reagire in maniera prorompente all’emergenza.
Come affermato dall’AD Storchi nell’intervista realizzata da Luca Orlando, sostanzialmente tutti i provvedimenti attuati arrivano dalla “scuola cinese”, una palestra che, per quanto scomoda, è stata utilissima ad un’azienda che, peraltro, fa dell’export il proprio core business. Proprio a questo riguardo c’è stato da fare i conti con la questione legata al blocco alla frontiera del Brennero; un blocco “eluso” con il cambio di autista al confine e con conseguente permanenza dell’autista “italiano” all’interno del nostro Paese.
Nulla lasciato al caso, dunque, provvedimenti oculati e vasti che hanno permesso fino ad ora a questa attività non solo di non entrare in crisi, ma addirittura di aumentare le commesse andando incontro ad una sorta di paradosso. Un vademecum da seguire? Probabilmente sì, sperando di uscire al più presto da una situazione che purtroppo di normale non ha praticamente nulla.